DECESSO PER OMESSA DIAGNOSI
La signora D. A., madre di tre figli e nonna di tre nipoti, a seguito di una caduta accidentale nel proprio domicilio domestico, veniva trasportata dal 118 al P.S. dell’Ospedale di B.
I sanitari, dopo aver condotto esami laboratoristici ed aver sottoposto la paziente a visita cardiologica e radiografica, la dimettevano limitandosi a prescriverle una blanda cura, nonostante la resistenza dei familiari che chiedevano di tenerla sotto osservazione in ospedale almeno per una notte.
I medici intervenuti, nella loro insipienza, omisero di diagnosticare un’ingravescente tromboembolia polmonare già in atto che l’indomani condusse a morte la sventurata donna.
Il consulente tecnico del Giudice, aderendo alla tesi avanzata dal CTP dello Studio Associati Maior, ha accertato che, qualora i sanitari avessero correttamente interpretato gli esami laboratoristici ed avessero sottoposto la paziente ad adeguata terapia anticoaugulante, la fatale tromboembolia poteva essere evitata.
I parenti della defunta lamentano i danni patiti sia iure proprio, per la compromissione del rapporto parentale, sia quelli iure hereditatis per il danno biologico terminale e morale terminale subito dalla loro cara madre e nonna.
DECESSO A SEGUITO DI SINISTRO STRADALE
Il signor C. L., di ottantatré anni, padre di C. R., si trovava a bordo di un pullman di linea, sorretto all’apposita sbarra di sostegno verticale, quando a causa di una brusca, improvvisa e imprudente frenata posta in essere dal conducente del mezzo pubblico, cadeva rovinosamente al suolo, riportando una frattura scomposta del femore sinistro. Attesa la gravità dell’incidente, si rese necessario trasportare il sig. C. presso il vicino Ospedale S. P.
Nonostante le adeguate e pronte cure prestategli al nosocomio in questione, dopo cinque giorni dal sinistro, a causa di una emorragia interna scatenata dalla rottura del femore, il sig. C. purtroppo decedeva.
I legali dello Studio Maior citavano in giudizio l’Azienda di Trasporti, contestando la responsabilità del vettore ai sensi e per gli effetti dell’art. 1681 cod. civ. e, nonostante le complessità del caso, riuscivano a dimostrare la sussistenza del nesso di causalità tra l’incidente e la morte, superando le eccezioni della controparte ad avviso della quale tale rapporto di causalità difettava, in quanto il danneggiato era già affetto da pregresse patologie ricollegate all’età.
Per contro, le pregresse condizioni cliniche del sig. C. sono state condivisibilmente definite dal Giudice come “mere occasioni per la realizzazione dell’evento, dipeso ineluttabilmente ed inscinibilmente dall’imprudente condotta del conducente dell’automezzo”.
La figlia del de cuius ha diritto a vedersi risarcita dei danni patiti sia iure proprio, per la compromissione del rapporto parentale, sia quelli iure hereditatis per il danno biologico terminale e morale terminale subito dal suo caro padre.
PERFORAZIONE INTESTINALE
Il signor R. M. si ricoverava presso la nota clinica H. allo scopo di sottoporsi ad un intervento chirurgico in artroscopia dell’anca destra, contraddistinto per essere “un intervento minimamente invasivo e con basse possibilità di complicazioni post-operatorie”.
Ciononostante i sanitari, nel prelevare cellule dall’addome per iniettarle nella articolazione dell’anca, esercitarono eccessiva pressione fino a perforare un’ansa intestinale.
Gli stessi medici, senza neppure rendersi conto del gravissimo danno arrecato, dimettevano il paziente come avviene nella normalità dei casi.
Quando quest’ultimo tornò presso il proprio domicilio era dilaniato da dolori addominali e si vide costretto a recarsi d’urgenza all’Ospedale di S. S., ove si imbatté nell’ulteriore scelleratezza di medici che non seppero diagnosticargli la perforazione. Solo il giorno successivo veniva ricoverato in codice rosso presso l’Ospedale di N. I. e prontamente operato.
Grave fu la colpa dei medici che lo operarono presso la clinica H. e visitarono all’Ospedale di S. S., consistita non solo nell’aver esercitato una pressione tale da perforare l’ileo del paziente, ma anche nel non essersi resi conto dell’esito dell’intervento e aver così ritardato le cure necessarie.
Dal susseguirsi degli eventi descritti, al signor R. M. è residuato un grave laparocele mediano intestinale e un’importante danno estetico-cicatriziale, oltre a sindrome post-traumatica da stress di grado medio-elevato.
INFEZIONE NOSOCOMIALE
La signora G. D. si sottoponeva ad intervento chirurgico per l’innesto di un pacemaker presso la Casa di Cura V.d.F. Purtroppo, il sito di impianto era interessato da una virulenta infezione.
L’infezione, dapprima latente, ha procurato alla signora G.D., per quasi un intero anno, dolore locale, febbre, difficoltà di movimento dell’arto superiore, oltre che superficializzazione del device, tanto da rendersi indispensabile la rimozione dello stesso. Nell’occasione della rimozione avvenuta presso l’Ospedale di P., i sanitari sottoposero ad esame microscopico culturale la ferita infetta diagnosticando la presenza di Staphilococcus Epidermidis
La consulenza tecnica di parte, a cui hanno aderito i CCTTUU, ha evidenziato che
l’infezione da Strafilococco è stata certamente contratta durante il ricovero per l’impianto del device cardiaco presso la Clinica V.d.F., essendo state escluse con certezza medico legale pregresse infezioni della paziente o altre concause.
Il danno biologico, morale ed esistenziale che ne è derivato è imputabile alla violazione, da parte della struttura ospedaliera, delle norme igienico sanitarie attinenti:
- all’adozione e attuazione dei protocolli relativi alla disinfezione e sterilizzazione di ambienti, strumentazione chirurgica, protesi e altro materiale;
- alla predisposizione dei dispositivi di protezione individuale (guanti, sovracamici, maschere, filtri facciali, occhiali protettivi e visiere);
- alla modalità di preparazione e conservazione dei disinfettanti;
- alla manipolazione dei campioni biologici secondo le norme previste dal manuale di sicurezza (raccolta e invio);
- alla modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;
- al sistema di smaltimento dei rifiuti;
- alla qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento;
- al controllo e alla limitazione dell’accesso ai visitatori;
- al controllo dello stato di salute dei dipendenti e degli operatori.
DANNO MORALE ED ESISTENZIALE DA STALKING
La sig.ra D.L.G. si è avvalsa dei servizi forniti dallo Studio Associati Maior al fine di ottenere il ristoro dei danni patiti per effetto delle persecuzioni realizzate dal suo ex compagno.
Dette condotte persecutorie hanno cagionato un danno morale, per l’intenso turbamento, il patema d’animo e le acute sofferenze patire, oltre che un danno esistenziale, per l’angosciosa compromissione della vita socio-relazionale e lavorativa dovuta all’alterazione delle proprie abitudini di vita.
In giudizio è stato ampiamente dimostrato il rapporto eziologico esistente tra le persecuzioni (sotto forma di molestie, minacce anche di morte, oppressivi appostamenti, l’installazione di un rilevatore GPS e continue offese in privato e in pubblico) ed i danni patiti dalla sig.ra D.L.G.
AMPUTAZIONE DEL DITO DEL PIEDE PER INFEZIONE
La giovane D.P.M. veniva sottoposta ad intervento chirurgico presso la Clinica V.d.Q. al fine di porre rimedio alla sindattilia 2° e 3° dito del piede destro da cui era affetta fin dalla nascita.
Purtroppo, a seguito dell’operazione, la falange distale del terzo dito veniva interessata da una virulenta infezione. Si rendeva così indispensabile un trattamento di ossigenoterapia iperbarica, il quale non risolse il problema, per cui si dovette procedere alla definitiva amputazione del dito.
La struttura sanitaria, consapevole di non aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il rischio di infezione ospedaliera, ha opportunamente deciso di risolvere l’instauranda controversia con una degna offerta stragiudiziale.
La stessa offerta, coprendo il grave danno biologico permanente, l’invalidità temporanea, oltre che il danno morale ed esistenziale, è stata accettata dalla soddisfatta cliente. Un altro caso in cui lo Studio Associati Maior è riuscito, in tempi assai contenuti, ad ottenere la richiesta giustizia.
INTERVENTO INUTILE
Il signor Z. A. restava coinvolto in un grave incidente stradale sulla tangenziale di N. Giunto all’Ospedale S.P., i sanitari ebbero il sospetto di dissecazione aortica e, non essendo adeguatamente attrezzati per il trattamento necessario, disposero l’immediato trasferimento del paziente nella più equipaggiata struttura M. di A.
Quivi i medici confermarono la grave diagnosi di dissezione aortica già effettuata dal primo ospedale, dopo aver eseguito gli opportuni accertamenti e, più nello specifico, una nuova TC toraco-addominale. Lo sventurato paziente venne sottoposto, quindi, ad un delicatissimo intervento chirurgico a cuore aperto, ma presto fu scoperto che il quadro clinico era frutto dell’erronea lettura di artefatti diagnostici. Peraltro, il grave errore dei sanitari poteva essere certamente evitato se avessero approfondito la diagnosi con ecocardiogramma transesofageo, ovvero mediante la tecnica del gating cardiaco (Angio-TC associata ad ECG), mezzi che avrebbero scongiurato l’inutile intervento cui Z. A fu sottoposto.
Ne è derivata una importante lesione fratturativa all sterno, oltre che un serio danno estetico-cicatriziale e di natura psichica.
POLMONITE OSPEDALIERA
Lo studio ha assistito la sig.ra D.E.D.M. in un caso tristemente assurto agli onori della cronaca e riportato su varie testate giornalistiche per grave responsabilità omissiva del noto Ospedale C.
La paziente, incinta e diabetica, giunse presso il nosocomio in questione per recidivata epistassi cospicua. Quivi purtroppo venne letteralmente abbandonata a sé stessa, collocata su di una barella posta nella corsia di un reparto inidoneo all’urgenza palesata, restando in attesa per più di 16 ore. L’ambiente non era affatto sterile, la barella non igienizzata, notevole il via vai delle persone in reparto.
La donna trascorse l’intera notte in tali precarie condizioni igieniche e il giorno successivo, a causa dell’assenza di personale medico specializzato, si decise di trasferire la paziente in altra struttura ed in un’altra ancora, ove fu affetta da insufficienza respiratoria acuta: aveva contratto una polmonite.
Le cause di detta patologia sono state correttamente individuate nell’Acinetobacter Baumanii ed è stato dimostrato che, per i tempi di insorgenza, la patologia fu sicuramente contratta presso il nosocomio C., in cui vennero a crearsi le condizioni necessarie e sufficienti per l’infezione.
L’increscioso corso degli eventi rese opportuno, per evitare il peggio, che la paziente fosse intubata e si rese altresì necessario procedere a dolorosa tracheotomia.
Oltre il consistente danno di natura biologica patito dalla paziente, la struttura è stata chiamata anche a risarcire il grave disagio psicologico ed esistenziale ricollegato al fatto che la donna è costretta a partorire in condizioni pessime, determinate certamente da colpa professionale.
INVESTIMENTO DI UN PIRATA DELLA STRADA
La sig.ra A. B., mentre si recava al lavoro a bordo della sua auto, veniva violentemente investita da un’auto pirata, il cui conducente procedeva in controsenso a folle velocità e non ottemperava all’obbligo di fermarsi per fornire i primi e necessari soccorsi.
La vittima purtroppo decedeva, lasciando superstiti una figlia in tenera età, oltre a genitori e fratelli addolorati. La corretta ricostruzione della dinamica è stata possibile solo attraverso perizia cinematica elaborata da un qualificato CTP.
Non essendo stato possibile individuare le generalità del pirata della strada che si diede a repentina fuga, è stato il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada ad onerarsi del risarcimento in favore degli eredi della povera donna.
I parenti della defunta lamentano i danni patiti sia iure proprio, per la compromissione del rapporto parentale, sia quelli iure hereditatis per il danno biologico terminale e morale terminale subito dalla loro cara madre e nonna.
RESPONSABILITÀ MEDICA PER MORTE DEL NASCITURO
La signora A. S., in procinto di partorire il suo primogenito, veniva visitata in un ambulatorio privato dal dottor Z. M.
A causa di inesperienza e negligenza, oltre che per assenza di tutta la necessaria strumentazione del caso, il sanitario non si accorse che il cordone ombelicale si stava avvolgendo pericolosamente intorno al collo del nascituro. Non rendersi conto di quanto stava accadendo, non consentì l’immediata attivazione del protocollo d’urgenza.
Quando i dolori iniziarono a divenire insostenibili, la partoriente venne condotta presso il presidio sanitario di N., ove i medici tentarono invano di dare alla luce il piccolo G., che di lì a poco sarebbe andato incontro a morte endouterina fetale per aggrovigliamento del cordone ombelicale.
Il cordone ombelicale avvolto intorno al collo poteva essere rivelato da una semplice ecografia, la cui attendibilità si attesta al 70% se in bianco e nero, e all’83-97% se a colori. La negligenza del dottor Z. M. fu tale, quindi, da non consentire alla sig.ra A. S. di poter godere, con ampio margine di probabilità, dell’inviolabile diritto alla genitorialità.
MORTE DERIVATA DA EMOTRASFUSIONI INFETTE
La sig.ra N.L., madre di due figli e nonna di tre nipoti, negli anni 1978, 1979 e 1980 ricevette somministrazioni di Partobulin, un concentrato di immunoglobuline umane tutt’ora in commercio. Tale farmaco, come tutti gli emoderivati, fino al 1985 era ricavato dal siero di un pool di donatori iperimmuni su cui non era condotto un preventivo screening anti-infettivo, che si ebbe solo a partire dal 1986. Ciò determinò la proliferazione di patologie HBV, HCV e HIV correlate nei pazienti che ricevevano la trasfusione.
Ed infatti, la N.L. contrasse proprio un’infezione da HCV degenerata in epatite cronica complicata che, nel corso degli anni e a causa dell’aggravarsi della patologia, rese necessario trattamento emodialitico trisettimanale. Da ultimo, la donna morì a causa delle complicanze emodinamiche e cardiocircolatorie derivanti della conclamata patologia HCV correlata.
In tal caso, è stata ritenuta la responsabilità del Ministero della Salute per omessa predisposizione delle misure idonee ad evitare il rischio di patologie infettive, atteso che già dalla fine degli anni ’60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale attraverso le trasfusioni di sangue ed era possibile la rilevazione indiretta dei virus.
La pretesa risarcitoria ha fruttuosamente investito tanto il danno iure proprio degli eredi della sventurata sig.ra N.L. per la compromissione del rapporto parentale, sia i danni iure hereditatis per la patologia contratta in vita dalla congiunta.
ERRORE ORTODONTICO
Il giovane O. G. venne sottoposto ad un’ortopantomografia dalla quale emergevano carie non complicate a due denti inferiori, trattabili con semplice igienizzazione dentaria. Il dentista ritenne, invece, opportuno procedere all’estrazione dei denti, che avvenne con una procedura cruenta e maldestra, esercitando una pressione tale da cagionare la lussazione della mandibola del paziente.
I dolori dello sventurato O. G. furono tali da impedirgli totalmente la masticazione,
i denti non combaciavano più, le parole non si articolavano, il volto era tumefatto, il paziente percepiva formicolii alle labbra, cominciando ad avere difficoltà a mantenere la posizione eretta a causa di forti vertigini obiettive e subiettive.
Attraverso la consulenza tecnica di parte, lo Studio Associati Maior ha dimostrato il grave errore professionale del sanitario, riconducendo a sua negligenza, imprudenza e imperizia i danni tutti di natura patrimoniale e non patrimoniale patiti dal sig. O.G.
TIROIDECTOMIA E VIOLAZIONE DEL CONSENSO INFORMATO
La sig.ra S. T., attraverso una ecografia tiroidea, si avvide di una piccola formazione nodulare. La TAC collo-torace evidenziò, inoltre, un lieve aumento della ghiandola tiroidea con accenno d’iperplasia del lobo sinistro e piccola formazione colloidocistica.
Le analisi ematochimiche della tiroide apparivano buone nel complesso, la trachea non era deviata né compressa, e mediante agoaspirato si escluse la natura maligna del gozzo nodulare. Ciononostante, i sanitari dell’Ospedale di N. ritennero imprescindibile sottoporre la sig.ra S. T. a intervento di tiroidectomia totale.
A conti fatti, l’intervento non andava eseguito e la scelta di rimuovere la ghiandola tiroidea si rivelò totalmente errata, poiché il gozzo tiroideo non era tumorale, non aveva dimensioni eccezionali da un punto di vista estetico e, soprattutto, non arrecava alcun disturbo funzionale-respiratorio. Oggi invece la paziente è costretta ad assumere farmaci sostitutivi a vita ed è a rischio di vasculopatia diffusa, insufficienza renale, osteoporosi e osteopenia, oltre a tetania latente, spasmi neuromuscolari frequenti e subentranti, patologia cardiaca e arteriosa sistemica, spossatezza continua, allergie, abbassamento del tono della voce e instabilità dei valori corporei.
La pretesa risarcitoria ha investito, altresì, la mancata sottoscrizione del consenso informato all’esecuzione dell’intervento chirurgico di exeresi della tiroide. La paziente, qualora fosse stata debitamente informata sulle conseguenze dell’operazione, in un rapporto di proporzionalità inversa rispetto alle sue condizioni di salute che si presentavano nella norma, avrebbe certamente rifiutato l’intervento: in altri termini, è stata lesa la sua libertà di autodeterminazione.
ERRATO TRAPIANTO DI RENE
Il sig. E.V., affetto da insufficienza renale cronica e in costante emodialisi, veniva ricoverato presso l’Ospedale G. per sottoporsi a trapianto di rene donatogli da un familiare.
Durante il trapianto del nuovo organo, lo stesso fu indovato in fossa iliaca destra in maniera del tutto errata, troppo in basso rispetto alla vescica, con l’ilo disposto lateralmente e l’uretere che gli si attorcigliava attorno “a decorso tortuoso”.
Inoltre, durante l’intervento era inserito uno stent ureterovescicale rimosso dopo appena sette giorni, in contrasto con le linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, che ne prescrivono la rimozione a distanza di almeno un mese.
Le condizioni del paziente post-trapianto si palesarono sin da subito molto gravi: soffriva di malessere generale, astenia intensa, crampi muscolari, idronefrosi e severa infezione urinaria.
Ne è residuato un grave danno anatomo-funzionale per disfunzione renale, un danno estetico a cagione dell’estensione della cicatrice addominale, e un significativo danno di natura psichica nelle forme di disturbo dell’adattamento, oltre invalidità temporanea.